Ogni anno, a Natale, volevo regalare ai miei amici un salmone sempre migliore, inseguendo la perfezione,
a ogni costo. Senza saperlo stavo innovando.
Claudio Cerati ci riceve nella sua casa, nei pressi di Langhirano, sull’Appennino parmense. Tra questi dolci poggi contrappuntati da magnifici castelli medievali, è nata già nell’infanzia la sua passione per i sapori. Non solo grazie alla bontà dei prodotti locali, anche per l’amore con cui la nonna li sceglieva, apparentava, cucinava. Da Parma alle Far Øer, però, il passo non è breve. Vediamo dunque di conoscere il percorso che da qui ha condotto Claudio sino al piccolo, incontaminato arcipelago dove seleziona i propri salmoni.
Cosa ci fa un parmense, appassionato di vini e cucina, nelle splendide ma gelide isole site a metà strada fra l’Islanda e la Scozia?
Né più e né meno ciò che fa il suo pesce preferito: va controcorrente. Al salmone non sono legato unicamente quale cibo. Abbiamo – mi si conceda – un’affinità più profonda. Anch’io risalgo le correnti in direzione contraria, è una scelta di vita, ed ecco perché la mia azienda si chiama Upstream. In ogni campo od argomento, il flusso princi-pale va da una parte: ecco, io vado dall’altra. E non è per spirito di contraddizione, cosa che non mi appartiene. È perché non amo lasciarmi trasportare, condurre. In ciò che sento, che scopro, che faccio, preferisco un ruolo più attivo. Così, mi sono ritrovato spesso a fare innovazione. Senza averlo programmato, direi quasi senza averci pensato. Si tratta semplicemente di un lato del carattere, che mi porta a intraprendere per-corsi miei, non standardizzati. Devo dire, anche con una certa ostinazione!
Nello specifico, come e quando comincia la tua ricerca di un salmone dalle caratteristiche di assoluta eccellenza?
Una quarantina di anni fa era un prodotto di élite, prelibato e molto costoso. Si trattava del vero salmone selvaggio: non esisteva al tempo quella sorta di parente povero che è il pesce proveniente da allevamento intensivo. Quando invece, anni dopo, quest’ultimo trionfa – ossia quando il salmone entra nei supermercati, pronto al consumo di massa -, me ne disinteresso. Un amore finito. E per diverso tempo, proprio non ci penso più. Però una sera – e sono trascorsi vari altri anni -, in un ristorante mi capita di provarne un assaggio. Stupendo! Ritrovo a un tratto quell’eccellenza che avevo apprezzato in gioventù. Chiedo notizie al ristoratore: mi viene risposto che è stato sotto-posto a una marinatura con il sale e lo zucchero. Inizio quindi i miei esperimenti. Non lo cerco nei negozi, per acquistarlo. Lo faccio io.
Affino via via le competenze, scegliendo di marinare con il sale e con lo zucchero, sempre però separati, in alternanza.
Di ovvio, sin qui, non c’è stato molto.
Mi rendo conto di voler condividere con qualcuno questa gioia. La gioia di vivere il salmone nel suo massimo esito, alla sua massima espressione. Se fai qualcosa di bello, di buono, e non chiami qualcuno a goderne insieme a te, io credo tu non abbia fatto nulla, avresti potuto risparmiarti la fatica. Per cui, a partire dal 2000, inizio a regalarlo agli amici in occasione delle Feste natalizie.
Be’, Santa Claus – Babbo Natale – ha origine nordica. Almeno qui, in qualche modo, i fili iniziano a riannodarsi. Immagino il regalo sia stato apprezzatissimo.
In un certo senso, troppo. Intendo dire che il successo – scherzo! – mi ha dato alla testa. Cioè, i miei amici hanno apprezzato a tal punto il mio salmone che ho ritenuto di volerli stupire anno dopo anno con qualcosa di sempre migliore. Detesto ripetermi.
Questo si era capito.
Per quanto sia bella e ben fatta, non puoi regalare a qualcuno la stessa cravatta dell’anno precedente. Devi fare di più. Produrti di nuovo nell’in-cantesimo. Quindi sono ripartito. Ogni anno, a cercare di migliorare la qualità. Solo per allegria, per sfida con me stesso, per un piacere da regala-re a chi amo. Così, per dodici anni, ho continuato ad alzare l’asticella, in una ricerca che a un certo punto è diventata quasi maniacale.
Ho deciso di affumicare con il faggio del mio Appennino: una novità assoluta che rende il salmone differente da qualsiasi altro.
E poi? È finita?
No. È cominciata. Nel 2013 un amico ristoratore che riceve il regalo mi dice che il prodotto è senza paragoni, superlativo, e che se inizio a commercializzarlo non posso sbagliare. Ecco come è nata Upstream, la mia piccola, orgogliosa iniziativa controcorrente. Per gli amici, ovviamente, non è cambiato nulla: a Natale, sono i primi a ricevere, come sempre, il mio salmone. Solo che dal 2013 la platea si è allargata. Alle gastronomie selezionate, ai ristoranti, alle enoteche di qualità. Non posso pensare alla grande distribuzione, perché la mia produzione, proprio per la sua natura del tutto artigianale, neppure lo consentirebbe. Produco per pochi. Ai massimi livelli possibili.
Ma il segreto del successo sempre crescente di Upstream, qual è?
L’impegno, la dedizione che ci metto. La gioia che immagino di donare agli altri, e la gioia che si concretizza quando le persone assaggiano il prodotto. Poi c’è il mio consueto voler sperimen-tare, senza che la tradizione debba influenzarmi per forza. Ho lasciato che la mente corresse ai ricordi di infanzia. Ai sapori, ai profumi della cucina della nonna, proprio qui, sull’Appennino. Quegli aromi di faggio che provenivano dal suo camino. Così ho deciso di affumicare con questo stesso legno: non come si fa nei Paesi nordici, con la betulla, e nemmeno con il faggio irlandese danese. Proprio con il mio, il faggio dell’Appennino e dell’infanzia. Una novità assoluta, un accostamento inatteso, che rende il mio salmone differente da qualsiasi altro. L’affumicatura risulta infatti più lieve, gentile rispetto a quella tradizio-nale. Nessuna fuliggine, nel mio procedimento: la lascio a chi deve coprire con aromi forti un salmone di scarsa qualità.
…pescato e allevato nelle Far Øer, in seguito lavorato e confezionato in Danimarca…
Il tuo viene pescato e allevato nelle Far Øer, in seguito lavorato e confezionato in Danimarca…
Certo, da persone fidatissime e molto abili, cui ho trasmesso punto per punto il mio metodo e cui fornisco il legno dell’Appennino. Delle lavorazioni però abbiamo già detto. Vorrei invece sottolineare come oggi il salmone di allevamento risulti di qualità superiore rispetto a quello selvaggio.
Possibile?
Assolutamente sì, se allevato con il criterio estensivo, che è l’antitesi di quello intensivo. Quest’ultimo dà origine alla grande massa di prodotto seriale che mi aveva convinto ad evitare per anni anche solo un minimo assaggio di salmone: durante l’allevamento vengono utilizzati antibiotici, ed ormoni, perché più si produce e meglio è, senza badare al fatto che il pesce sta male, vive peggio, ingrassa a dismisura. Della lavorazione, poi, nemmeno parliamo. Marinature in salamoia, iniezioni di fumo all’interno della baffa, e di coloranti. Uno scempio. Ma anche il salmone selvaggio – che naturalmente invece è buonissimo – accumula in sé molto grasso.
Ecco perché l’allevamento estensivo consente di proporre il salmone migliore in assoluto…
Ecco perché l’allevamento estensivo consente di proporre il salmone migliore in assoluto.
Sì. Lo peschiamo e lo alleviamo in mare aperto, entro grandi reti in cui la popolazione è ridotta e l’animale può spostarsi agevolmente; scegliamo aree marine in cui le acque sono sempre in movimento, con un forte costante ricambio; lo ali-mentiamo in modo che acquisisca massa magra in sostituzione di quella grassa. Di ormoni e ant-biotici neanche l’ombra. Una filiera perfettamente tracciata e documentata, portata avanti da persone di cui – ripeto – ho la massima fiducia. E che in ogni caso verifico personalmente, recandomi alle Far Øer come minimo due volte l’anno. Cosa di cui peraltro non ci sarebbe necessità, dato che le Far Øer vantano uno dei regimi di regolamentazione veterinaria dell’acquacoltura più rigorosi al mondo.
Insomma: allevamento in acque pulite, in spazi ampi, con regime alimentare controllato. Poi una marinatura con sale e zucchero, alternati e mai insieme. Affumicatura dolce, con faggio italiano. Altro?
Una sfilettatura eseguita in modo impeccabile. E – nel segmento di prodotto destinato alle Festività natalizie – la guarnizione del salmone con oro alimentare in polvere a 23 carati.
Un regalo che non si fa dimenticare.
Io lo spero. Del resto, come dicevo, l’avventura è iniziata a suo tempo proprio come occasione di dono. Un pensiero da porgere agli amici. E non ha certo tradito questo suo spirito originario.